giovedì 26 luglio 2012

Parents and sons


Father
It's not time to make a change,
Just relax, take it easy.
You're still young, that's your fault,
There's so much you have to know.
Find a girl, settle down,
If you want you can marry.
Look at me, I am old, but I'm happy.

I was once like you are now, and I know that it's not easy,
To be calm when you've found something going on.
But take your time, think a lot,
Why, think of everything you've got.
For you will still be here tomorrow, but your dreams may not.

Son
How can I try to explain, when I do he turns away again.
It's always been the same, same old story.
From the moment I could talk I was ordered to listen.
Now there's a way and I know that I have to go away.
I know I have to go.

Father
It's not time to make a change,
Just sit down, take it slowly.
You're still young, that's your fault,
There's so much you have to go through.
Find a girl, settle down,
if you want you can marry.
Look at me, I am old, but I'm happy.

Son
All the times that I cried, keeping all the things I knew inside,
It's hard, but it's harder to ignore it.
If they were right, I'd agree, but it's them you know not me.
Now there's a way and I know that I have to go away.
I know I have to go.


Traduzione italiana:


[padre]
non è il momento di fare cambiamenti,
rilassati e basta, prenditela comoda.
Sei ancora giovane, questo è il tuo problema,
c'è così tanto che devi conoscere,
trovati una ragazza, sistemati,
se vuoi puoi sposarti.
guarda me, sono vecchio, però sono felice

un tempo ero come tu sei ora, e so che non è facile,
stare calmo quando trovi qualcosa per andartene
ma prenditi il tuo tempo, pensa molto
perchè, pensa a tutto quel che hai.
domani tu sarai ancora qui, ma i tuoi sogni potrebbero non esserci


[figlio]
come posso provare a spiegargli? quando lo faccio lui si gira dall'altra parte
è sempre stata la solita vecchia storia.
dal momento in cui potevo parlare mi è stato ordinato di sentire
ora c'è una via, e io so che devo andare
io so che devo andare


[padre]
non è tempo per cambiamenti
solo sietidi, prenditela lentamente.
sei ancora giovane, è questo il tuo problema
c'è così tanto su cui devi pensare
trovati una ragazza, sistemati
se vuoi puoi sposarti
guarda me, sono vecchio, ma sono felice


[figlio]
tutte le volte che ho pianto, tenendomi tutto ciò che sapevo dentro
è difficile, ma è più difficile ignorare ciò
se loro erano nel giusto, io accettavo, ma il problema è che non mi conosci
ora c'è una via e io so che devo dandare via
io so che devo andare

domenica 22 luglio 2012

"Con Scienze della Comunicazione trovi lavoro. Basta con i pregiudizi!"


Ci sono miti da sfatare sul corso di laurea più bistrattato d’Italia. Non è vero che non dia lavoro. Al contrario, i laureati in comunicazione ne trovano di più rispetto agli altri umanisti. Restano i problemi del precariato e dello stipendio: ma per risolverli deve cambiare la cultura, che non dà importanza alla comunicazione.
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Illustrazione di latejapride* (da Flickr)
Illustrazione di latejapride* (da Flickr)

In Italia i pregiudizi negativi sui corsi di laurea in scienze della comunicazione esistono da anni: laurea poco seria, esami facili da superare, titolo di studio svalutato sul mercato del lavoro perché le aziende si aspettano giovani impreparati o genericamente capaci di tutto e niente, che finiscono per confinare in ruoli malpagati e secondari. Insomma le battutacce su «scienze delle merendine», come i denigratori le chiamano, affliggono non solo gli studenti attuali, ma pure chi la laurea ce l’ha da anni.
La cosa peggiore, per chi subisce le battutacce, è che di solito provengono da persone che di comunicazione non capiscono niente. Il che è normale, a ben pensarci: se di comunicazione almeno un po’ te ne intendi, allora sei anche consapevole dell’importanza che ha per qualunque ambito professionale, e tutto faresti meno che denigrare chi ha studiato o studia per farla. Le uscite peggiori, nel 2011, sono venute dalla politica. Due esempi per tutti.
Gennaio 2011: a «Ballarò» il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, nel difendere la riforma della scuola, dice di aver voluto dare «peso specifico all’istruzione tecnica e all’istruzione professionale», perché ritiene che «piuttosto che tanti corsi di laurea inutili in Scienze delle comunicazion-i [sic] o in altre amenità, servano profili tecnici competenti che incontrino l’interesse del mercato del lavoro». Infatti, aggiunge, i corsi in «scienze delle comunicazioni non aiutano a trovare lavoro», perché «purtroppo sono più richieste lauree di tipo scientifico, lauree che in qualche modo servono all’impresa». E «questi sono i dati», conclude Gelmini.
Ottobre 2011: il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, parlando prima a «Porta e Porta» e poi a «Matrix», spiega precariato e disoccupazione dicendo che «il problema dei giovani è che spesso non vengono seguiti dai genitori, che consentono loro di iscriversi a facoltà universitarie come Scienze della comunicazione». Sacconi usa cioè Scienze della comunicazione come esempio di laurea che produce precariato o, peggio, disoccupazione protratta. E non è la prima volta: l’aveva già fatto nell’agosto 2008, in un’intervista su L’Espresso.
Che i politici italiani alimentino i pregiudizi contro le lauree in comunicazione non mi stupisce più di tanto: poiché in Italia la politica – a destra come a sinistra – ha raggiunto negli ultimi anni i livelli più bassi anche nella comunicazione, oltre che nei contenuti e nelle azioni, i politici rientrano nel novero di coloro che sottovalutano il settore perché non lo conoscono. Che però i giornalisti riproducano gli stessi pregiudizi già mi stupisce di più, visto che non solo di comunicazione dovrebbero saperne, ma di comunicazione vivono.
Eppure nel 2009 Bruno Vespa si permise di chiudere una puntata di «Porta a Porta» addirittura «pregando» (sic) i giovani di non iscriversi a Scienze della comunicazione, e cioè di «non fare questo tragico errore che paghereste per il resto della vita». E commenti del genere, più o men pesanti, compaiono a cadenze quasi regolari su tutti i media.
Detto questo, l’ignoranza è certamente più grave nel caso dei ministri, perché un ministro dell’istruzione e uno del lavoro dovrebbero conoscere bene ciò su cui non solo rilasciano dichiarazioni ma prendono decisioni. Specie se concludono dicendo, come ha fatto Gelmini: «E questi sono i dati».
I dati infatti non dicono che il mercato del lavoro non assorba laureati in Scienze della comunicazione. Dicono altro. Secondo il consorzio interuniversitario Almalaurea, sostenuto dallo stesso Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica, consorzio che oggi elabora e rende disponibili sul web dati che riguardano il 78% dei laureati italiani, nel 2010 i laureati triennali in Scienze della comunicazione, a un anno dalla laurea, non lavoravano meno degli altri, anzi: il 46,5% di loro lavorava, a fronte del 46% dei laureati triennali di tutti i tipi di corsi, e di un 41,8% di laureati triennali usciti dalle facoltà di Lettere e filosofia, a cui in molti atenei appartiene Scienze della comunicazione. Il che vuol dire che nel 2010, in piena crisi economica, i neolaureati in comunicazione lavoravano un po’ più degli altri (uno 0,5% in più) e ben più dei loro colleghi umanisti (4,2 punti percentuali in più).
Se poi prendiamo le lauree magistrali del settore della comunicazione e le confrontiamo con tutte le altre, otteniamo una perfetta parità: a un anno dalla laurea, nel 2010 già lavorava il 55% dei giovani che avevano preso una magistrale nella classe «scienze della comunicazione pubblica, d’impresa e pubblicità», esattamente come già lavorava il 55% dei laureati in tutti gli altri corsi. E se confrontiamo questi dati con quelli dei giovani usciti dalle facoltà di Lettere e filosofia, scopriamo ancora una volta che i comunicatori se la passano meglio di altri umanisti, i quali, a un anno dalla laurea, nel 2010 lavoravano solo nel 53% dei casi.
Ma andiamo a spulciare anche il cosiddetto «profilo» dei laureati che la banca dati di Almalaurea mette a disposizione sul web, giusto per capire se la nomea di «laurea facile» e «poco seria» ha qualche fondamento nei numeri.
Con un paio di clic scopriamo per esempio che i giovani che nel 2010 hanno conseguito una triennale in Scienze della comunicazione hanno preso in media 100 come punteggio di laurea, mentre gli altri laureati italiani hanno preso 100,6; e scopriamo inoltre che, sempre lo stesso anno, la media di voti negli esami è stata 25,9 per i laureati triennali in comunicazione e 25,8 per tutti gli altri. Inoltre, con altri due clic scopriamo che nel 2010 i laureati magistrali in comunicazione hanno preso in media 27,4 agli esami e 106,5 alla laurea, mentre gli altri hanno preso 27,6 agli esami e 108,1 alla laurea.
Questi dati credo possano contribuire a sfatare l’idea che a comunicazione si «regalino i voti», visto che i voti di comunicazione sono allineati a quelli delle altre lauree nel caso dei trienni e addirittura più bassi nelle magistrali. Certo, i numeri possono sempre essere interpretati in modo diverso: un voto più basso può voler dire che l’esame è più difficile, come pure che lo studente è più zuccone. Ma poiché non c’è niente, se non il pregiudizio, a far propendere per un’interpretazione o l’altra di un voto, e poiché il pregiudizio sulle lauree in comunicazione è che i voti siano più alti lì che per esempio a Ingegneria o Fisica, solo perché gli esami sono più facili e non perché gli studenti siano più bravi, è doveroso leggere queste medie, per par condicio, semplicemente ribaltando il pregiudizio, e non decidendo all’improvviso che a un voto più basso corrisponda uno studente più zuccone e non un esame più duro.
Insomma, che i laureati in comunicazione siano meno richiesti dal mercato è pregiudizio, non realtà confermata dai numeri; che le lauree nel settore della comunicazione siano più facili è pure pregiudizio. Ma che il mercato del lavoro valorizzi meno i laureati in comunicazione degli altri non è pregiudizio: è realtà.
Se cerchiamo infatti dati sugli stipendi, Almalaurea ci dice che, a un anno dalla laurea, nel 2010 i laureati triennali in Scienze della comunicazione prendevano in media 879 euro netti al mese, mentre tutti gli altri ne prendevano in media 967; e dice che i laureati magistrali in comunicazione prendevano in media 904 euro netti mensili (addirittura meno dei triennali di altri settori), mentre gli altri ne prendevano 1051.
Se infine consideriamo il problema della precarietà, il quadro è ancora una volta svantaggioso per i comunicatori: nel 2010, a un anno dalla laurea, avevano un lavoro stabile solo il 32,9% dei laureati triennali in Scienze della comunicazione, contro il 38,2% di tutti gli altri, e solo il 25,1% dei laureati magistrali nel settore della comunicazione, contro il 33,9% di tutti gli altri.
Insomma, stando ai numeri, la differenza fra un/a laureato/a in comunicazione e uno/a di altre discipline sta soprattutto nella maggiore precarietà e nello stipendio più basso: da 88 a 147 euro netti al mese in meno per i comunicatori, in un momento in cui, data la crisi, gli stipendi sono già bassi per tutti.
E allora, cosa dobbiamo concludere? È forse questo il nucleo di verità che ha indotto Bruno Vespa a parlare di Scienze della comunicazione come di un «tragico errore» di cui pentirsi per tutta la vita?
I problemi ci sono, inutile negarlo. Ma non è dicendo ai giovani si evitare come la peste i corsi di comunicazione che si risolvono, specie in un paese come il nostro, in cui la cultura della comunicazione è scarsa in tutti i settori professionali: campagne pubblicitarie banali e volgari, comunicazione sociale inefficace, televisione urlata e politici incapaci di rivolgersi ai cittadini in modo convincente ci mostrano tutti i giorni quanto in basso sia scesa la comunicazione in Italia. Di bravi e qualificati comunicatori il nostro paese avrebbe un disperato bisogno, altro che. Se solo, ovviamente, il mercato non fosse a sua volta condizionato dai pregiudizi di cui stiamo parlando.
È infatti da oltre dieci anni che gli studenti e i laureati in comunicazione sopportano battutine sul loro conto e uscite come quelle degli ex ministri Gelmini e Sacconi: non possiamo pensare che tutto ciò non influisca sulla decisione delle imprese riguardo a stipendi e stabilizzazione del lavoro. È anche a causa di questi pregiudizi infatti che, se un’azienda fa un colloquio a un neolaureato in ingegneria bravo e uno in comunicazione altrettanto (o più) bravo, decide quasi per automatismo di pagarlo meno: l’ingegnere vale di più a priori, non perché «serve di più» all’azienda.
La stessa cosa accade quando un’impresa deve decidere di stabilizzare due precari: a parità di condizioni, si stabilizza prima l’ingegnere (l’informatico, ecc.) perché «altrimenti scappa». È la somma di decisioni come queste che un po’ alla volta ha creato un mercato di stipendi più bassi e di precarizzazioni più frequenti per i laureati in comunicazione. E il circolo vizioso è ormai chiuso.
Un circolo vizioso che sarebbe ora di rompere, una buona volta. Restituendo dignità alle professioni della comunicazione, a partire da come se ne parla. Facendo sempre considerazioni basate su dati e non su stereotipi, pur consapevoli che i dati vanno letti con attenzione e possono essere variamente interpretati. E cominciando a fare tutte queste cose proprio sui media – televisione, stampa, radio, internet – visto che, come dicevo, non si vede perché gli operatori della comunicazione debbano continuare a sminuire ciò che gli dà mangiare. 

(opinione del docente Giovanna Cosenza)

sabato 21 luglio 2012

Donna nel cinema, nella moda e nella pubblicità

Cinema, Moda e Pubblicità.

                                                           www.ilcorpodelledonne.com

 L'esagerata lode nei confronti del corpo femminile ne copre la mancanza di potere economico e politico. La donna cerca di assomigliare ad uno dei modelli proposti dai media. Lei è flessibile, quindi debole e manipolabile.

     I modelli di bellezza sono IRRAGGIUNGIBILI perchè vari e variabili! Quando ne raggiungi uno, ce ne sono altri dieci. Gli stereotipi creati, sono, inoltre, estremamente banalizzati e spinti all'imitazione attraverso l'occhio. L'impatto visivo ha un potere forte, tanto da spingere le donne a sentirsi obbligate a rientrare nei modelli irreali creati dalla pubblicità, per paura di non essere più accettate dalla società.

     Parliamo di figure coercizzate come la donna elegante con un filo di perle ma col grembiulino e i guanti gialli in cucina, felice e instancabile. La ragazza candida e bambina, sempre estremamente curata, in forma e disponibile al maschio. Anche l'uomo manager sicuro di sè e perennemente in pausa caffè, che ride chissà per cosa in slancio lombare sulla sua poltrona a rotelle di pelle nera o guarda misticamente fuori dalla vetrata di un grattacielo all'80simo piano o all'aeroporto mentre fuori piove.

     Lo stereotipo di finezza e leggerezza cucito forzatamente addosso alle donne nella pubblicità e nel cinema, visto come unica rappresentazione possibile della femminilità, crea nelle masse di ragazze-donne un crescente disagio psicologico nell'accettare il proprio fisico. Psicologicamente strapazzate, non sorprende, a dire il vero! Anche perchè la donna, persuasa ad essere una bambina, per gli uomini perversamente attraente, è vista e si abitua a vedersi come inferiore, DIPENDENTE, da proteggere, fragile, passiva e romantica. I modelli femminili presentati dai media sono inoltre altamente lontani dalla realtà quotidiana, nella quale si presentano molto più sfaccettati e non così stilizzati e banali. Ad esempio la seduzione può avere molteplici forme, ma la pubblicità e la moda possono spingere verso un icona unica, allo scopo di  creare asservimento, e di vendere quell'immagine, insieme al corredo di vestiario e accessori.

     Per quanto riguarda i messaggi della moda, veicolati con potenza tramite i divi, stimolano la somiglianza e la ricerca di UGUAGLIANZA con le classi sociali più abbienti, che cercano di distinguersi dalla massa con dei totem quali vestiti, usi e marchi, per poi cambiarli immediatamente se copiati. La massa sta in rapporto di rivalità e di ammirazione con "i ricchi".

     L'imitazione di un modello significa trovare un APPOGGIO SOCIALE, riconoscersi in un universalità condivisa, nell'obbedienza alle norme del nostro tempo. Siamo scissi tra un istinto gregario di unione al gruppo ed una tendenza narcisistica di unicità e di limitazione dell'omologazione. Paradossalmente essere alla moda serve per non essere notato nella propria unicità in quanto comporta critiche e responsabilità, mentre essere un outsider e rifiutare l'omologazione, accende l'attenzione proprio su chi non la vuole.

     Al cinema lo spettatore guarda al modello "perfetto" per sublimare una sua MANCANZA. Vera o indotta. Così pensa che assomigliando a quel personaggio sarà più felice o realizzato, tramite l'aiutante magico che la maggior parte delle volte è un vestito o una pettinatura. Cambiare la superficie, non accettarsi mai, cercare di essere sempre qualcun'altro.

Questo non è amore, è mercato. Bellezze.





giovedì 19 luglio 2012

La ragazza di mare

Essere entusiasti di ciò che si ha.


Se c'è un film che raccoglie il mio pensiero e lo esplica come una parabola, è "Il ragazzo di campagna" con Renato Pozzetto. Taaaaaak.

Beh, sono le 10:10. Nove ore fa ero sbronza di Prosecco e gonfia di formaggi. Il piccolo Malech. Burroso. Mi manca il mio meraviglioso ragazzo.

Insomma, il ragazzo di campagna vuole vedere altro perchè crede "che non sia sufficente avere come amico il mare" (cit. ). Sebbene la campagna non è che sia rappresentata come uno splendore, in autunno con la nebbia, ne danno un immagine familiare e calorosa.

 Pozzetto arriva a Milano. Grigia. Frenetica. Fastidiosa nella sua offerta di rumori e macchine incazzate.

Incontra una bellissima Angela che se lo tiene fondamentalmente come galoppino, a cui non riesce mai a dare un mazzo con dei fiori ancora attaccati.

Alla fine li dopo aver tentato mille lavori e l'amore, non trova basilarmente nulla di interessante. Torna nella sua campagna dove, l'unica ragazza del villaggio che ritrova, scopre essere più interessante di ciò che pensava.

Il punto mio personale: è giusto provare situazioni nuove, ma il più delle volte le metropoli sono destabilizzanti. Meglio i paesetti o le cittadine medio piccole.

Il punto generale: è lecito cercare qualcosa di nuovo, ma con la consapevolezza di essere fortunati per ciò che si ha già.


Il topo di città ed il topo di campagna. Esodo. VI secolo a.C.
http://it.wikipedia.org/wiki/Il_topo_di_citt%C3%A0_e_il_topo_di_campagna


sabato 14 luglio 2012

Il mio sabato insegna :)



Debbo dire che sebbene in questo periodo della mia vita ho smesso di sognare, mi sembra di aver già visto tutto e poco mi sorprende, una cosa che mi affascina c'è.

Il mio sabato naturalistico-culturale!

Il treno televisivo che mi appaga comincia su Rai 1 con Linea Blu alle 14:00.
Segue Quark Atlante alle 15:45.
Alla fine si culmina con Dreams Road alle 16:20.

Quando mi sveglio presto..(...pfff..) inauguro alle 12 su Rete4 con Mela Verde, un adorabile oretta e mezza di agricoltura, eno-gastronomia e intermezzi nelle fabbriche su come si realizzano molti prodotti.

Questi programmi sono una prova di buona tv, che insegna, che fa scoperire, che rasserena.
Linea blu parla di mare, di pesca, di gastronomia, di cultura. Un ottimo mix, ben organizzato.

Quark invece è, diciamo, il classico documentario. Sempre molto apprezzato, come Ulisse, presentato dal mitico Alberto Angela.

Dreams Road è il viaggio. A parte la pronuncia vergognosa con cui i conduttori col pollicione in su ti sparano "Drimmms ròddd", è un ottima finestra su altre culture e luoghi. In sella alla moto.

Oggi sono in Medio Oriente, vicino agli Emirati Arabi Uniti. A vedere le donne intabarrate nei loro Burqa non mi da più così fastidio. Penso alla mercificazione alla Rihanna, e sinceramente siamo solo due estremi.

Ora vado a farmi un giro in pattini, dopo il mio cappuccino! :)

Anzi, ora alle 17:20 ne ho scoperto un altro! Se non dovessi vivere, mi guarderei anche questo: "A sua immagine". Ok dai, è a sfondo religioso, ma mostra luoghi meravigliosi della nostra Italia. Sebbene il culto non mi faccia impazzire, viene mostrata molta storia dell'arte. Interessante!

sabato 7 luglio 2012

Il tempo tra le idee




Ci sono momenti in cui devi prendere una pausa.

Io dimentico che all'impegno bisogna alternare il riposo, il relax, il silenzio...delle idee.

"La guerra è in vista della pace, il lavoro è in vista del riposo, le cose utili sono in vista delle cose belle".

Sento il bisogno di fare piazza pulita, in modo calibrato, non estremista come di solito faccio, di abitudini, cose, lavori.

Ad esempio quest'estate ho deciso di rifiutare i molti lavori disponibili, checchè se ne dica della crisi. Barista, cameriera, giornalista, PR. Nulla che per ora mi faccia turbinare, che mi convinca.

Sento che abbandonando le strade vecchie troverò una nuova inestimabile libertà, serenità, novità.

Ad esempio, ora mi sto informando sul ruolo ingannevole che i media, la pubblicità, il cinema, hanno sulle nostre vite. Vorrei creare un luogo, un tempo, uno spazio che ci difenda da questi assalti e al contempo ci rifaccia vivere come siamo. Magari coinvolgendo bisogni veri.


"Naturali e necessari", come: l'amicizia, la libertà, il riparo, il cibo, l'amore, il vestirsi, le cure ecc.
"Naturali ma non necessari" come: l'abbondanza, il lusso, case enormi oltre il necessario, cibi raffinati ed in abbondanza oltre il necessario.
"Non naturali e non necessari", come il successo, il potere, la gloria, la fama ecc.

Questo dice Osho. E lo condivido.

E' PROPRIO NEL BUIO CHE è BELLO VEDERE LA LUCE :)

Je

giovedì 5 luglio 2012

Essere la "pecora nera". Un grandissimo valore da recuperare.



 Cari amici, care amiche,

un bisogno che oggi sentiamo, almeno da parte mia ma credo ampiamente condiviso, è quello di ritornare ad essere unici.

Ambientazione: società. tv. pubblicità.

Essere unici, come dice un fotografo che mi piace molto, Oliviero Toscani, non lo vuole essere nessuno, perchè comporta prendersi delle responsabilità, venire criticati per non essere nella massa.

Essere la pecora nera appare come uno svantaggio per gli estimatori del piattume, nel quale si sentono al sicuro, come dice Toscani, è un'omologazione che sarebbe piaciuto al più rigido dei regimi totalitari.

Comincio la libertà. Il primo passo è stato chiudere fb.


Buona visione :) Tutto il programma è molto bello e vale la pena di essere scorso.

Je

martedì 3 luglio 2012

Cielo blu

La mia vita è incantevole. A vederla bene.
A vederla male tutte le vite sono abominevoli.

Creiamo bolle di idee nere. Abitudini che si innestano. Per sradicarle basta volerlo. Cambiare perà fa paura. A livello razionale dovrebbe farci più paura restare così come siamo, grigi.

E invece siamo una mistura di emotività, siamo precipitosi, bambini.

Ho bisogno di me, dei buoni influssi degli altri per farmi credere nel futuro, della mia tenacia per tornare a vivere. Ad essere serena.

Ce la farò!